Le testimonianze
Serata Missionaria TESTIMONI E PROFETI venerdì 8 ottobre 2021
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FLAVIO e GEDEONE CORRA’
A1- Flavio e Gedeone Corra’ erano originari di Salizzole e si trasferirono con la loro famiglia a Isola della Scala nel 1932, dove vissero fino al 1944, quando furono arrestati e deportati nel campo di sterminio di Flossemburg, dove morirono, (Gedeone il 18 marzo e Flavio il 1° aprile 1945)
B1- La loro era una famiglia di modeste origini, serena nonostante le difficoltà.… la FEDE cattolica permeava ogni aspetto della vita familiare. Scrive Don Cavaliere , parroco di Tarmassia:” Il merito dei fratelli Corrà è stato quello di una FEDE profonda… quella fede che avevano nel cuore l’avevano anche sulla bocca… e nel loro modo di agire erano veramente cristiani completi…sempre sereni davanti a tutte le difficoltà”.
A2 -Il trasferimento da Salizzole a Isola rappresenta l’inizio delle loro più importanti esperienze di spiritualità e di azione, con l’adesione attiva all’ AZIONE CATTOLICA
B2- L’Azione Cattolica non consiste solo in preghiere e canti ma, come scriveva il cardinale Bacilieri nel 1921 “L’Azione Cattolica ha lo scopo di aiutare i giovani nella loro formazione religiosa e morale e di addestrarli a pensare e ad agire secondo i principi cristiani in ogni ramo della vita”… e indica tre mezzi: la PIETA’, la CULTURA e l’AZIONE. Con questo rinnovato slancio missionario e di azione civile saranno impegnati in prima fila negli anni successivi.
A3- Flavio e Gedeone erano due studenti che non sono stati indifferenti verso le atrocità della guerra; con coerenza hanno scelto di manifestare apertamente il loro dissenso e di battersi contro un potere repressivo che contrastava con la loro etica e la loro religione. Un episodio ci rivela con quanta convinzione i due fratelli intendessero opporsi alle autorità fasciste.
B3- Racconta un testimone : ..” Gedeone una volta, non so per quale ragione ,si presentò per l’esercitazione del sabato fascista in borghese e con il distintivo dell’Azione Cattolica. L’istruttore lo osservò dicendogli: “ Hai il distintivo di Azione Cattolica, levatelo” gli ingiunse. E lui zitto. Per tre volte l’istruttore gli impose di levarlo. Alla terza volta : “ Me lo levi lei” rispose Gedeone. E quello gli diede due schiaffi. E Gedeone a lui. “ E’ soddisfatto adesso?
A4- La loro passione civile per i valori della LIBERTA’ della GIUSTIZIA e della DEMOCRAZIA li portò ad aderire attivamente alla RESISTENZA locale contro il Nazifascismo, nel CNL (Comitato Nazionale di Liberazione) di Isola della Scala. La loro fu una attività di “resistenti” non con attacchi armati, ma svolgendo attività di informatori, con compiti strategici e organizzativi, non tralasciando la solidarietà e l’aiuto ai più bisognosi.
B4-In tanti ricordano i fatti del 28 gennaio 1944.
_“ La sera, verso le 22,bombe incendiarie caddero dappertutto, ospedale compreso. Si contarono 32 morti. Durante il bombardamento Flavio si trovava rifugiato nel campanile di santo Stefano. Gedeone invece si era nascosto in un luogo più sicuro, alle Cognare. “ Quando Gedeone vide il cielo illuminato, prese immediatamente la bicicletta e partì per il paese. Passando attraverso la campagna giunse nei pressi dell’ospedale dove era accaduto il maggior disastro. Flavio era già arrivato e si stava prodigando sul luogo della strage. Insieme poi si diedero da fare per aiutare i feriti e organizzare i primi soccorsi. Fecero la spola per qualche giorno…. non potevano farsi vedere troppo in giro perché erano renitenti alla leva e quindi passibili di arresto. Infatti, per la loro attività di resistenti, vennero catturati il 22 novembre 1944 e deportati nel campo di sterminio di Flossemburg.
B4 bis- Con la forza della fede, si sono ribellati alla guerra e alla barbarie nazista, indicando il cammino in un’epoca buia. Per la loro serena fiducia in Dio “ nonostante tutte le sofferenze erano sempre allegri e tranquilli, non avevano paura di niente e sapevano rassicurare i compagni di prigionia”
A5- La preghiera e la passione per il Rosario erano il vero sostegno di Flavio e Gedeone. Racconta Augusto Tebaldi un testimone sopravvissuto che era con loro.
B5—Episodio ROSARIO( Allegato “ Il rosario di un Martire”)
A5 bis- Anche in quella allucinante realtà i due giovani trovarono la forza di essere apostoli di fede e di carità tra i compagni di prigionia.Racconta ancora Tebaldi.
B5 bis-“ Era sorta una lite violenta tra due internati per via della razione di cibo, fummo angosciati testimoni di una rissa furibonda. Flavio e Gedeone si guardarono come per un’intesa. Flavio si alzò e diede la sua fetta di pane al compagno derubato e lo scontro si placò. Nel frattempo Gedeone aveva spezzato il suo pane e ne consegnò metà al fratello…… E’ proprio in questo gesto, nella nuova Eucarestia di Flossemburg, che possiamo cogliere chi erano Flavio e Gedeone : la tenerezza e la commozione nell’enorme sofferenza.
A6- Le testimonianze dei loro compagni e amici ci confermano che l’appartenenza CRISTIANA e il desiderio di spendersi nel presente per costruire una società futura erano inscindibili nei loro pensieri.
B6- Chi li ha conosciuti conferma: “ In una FEDE CRISTIANA adamantina hanno trovato la forza e il coraggio per ogni genere di prove”… “ In tutto il loro modo di agire erano CRISTIANI COMPLETI .. VERI TESTIMONI “
Dalle testimonianze di Amelia, Zita e Noemi Corrà, sorelle di Flavio e Gedeone:
—Amavano giocare, ma erano anche sempre pronti alla preghiera. “Bambni, è l’ora delle preghiere”, li invitava la mamma, o la nonna, ed erano prontissimi a lasciare tutto e a raccogliersi in preghiera. Si inginocchiavano presso il focolare dove la mamma o la nonna stavano facendo la polenta e non si trattava di una preghierina o due, ma era un vero e proprio ripasso quotidiano del Catechismo..
Poi si cenava e dopo cena loro si univano alla famglia che recitava il rosario, sempre pronti con entusiasmo e devozione, da bambini e anche da più grandi. Iniziati in famiglia alla carità e alla pietà, le fecero sempre più proprie negli anni dell’adolescenza e della giovinezza, il loro rapporto con Dio poteva trasformarsi, in qualsiasi momento, in partecipazione attiva alle gioie e ai dolori del prossimo….
…In parrocchia, Flavio era presidente dell’azione cattolica e Gedeone Vice Presidente: fra loro erano molto affiatati. Erano anche nella S. Vincenzo: alla domenica dopo la S. Messa partivano con il sacco sulla bicicletta per domandare alimenti ai ricchi e donarli ai poveri.
…Quando Flavio e Gedeone andavano a scuola a Verona, per aiutare la famiglia, per un anno scolastico hanno risparmiato di pagare l’abbonamento al treno da Isola della Scala a Verona e facevano circa 20 chilometri tutte le mattine in bicicletta.
Qualche pomeriggio restavano via: il papà dava loro i soldi per mangiare, ma loro mangiavano un panino e con i soldi del pranzo si compravano dei libri di scuola o di religione. Ogni tanto il papà andava dai loro insegnanti di liceo e tornava molto contento, perché gli dicevano che erano molto intelligenti e che erano tra i migliori in tutto.
A casa venivano ogni tanto degli amici e parlavano di religione. Anche nel viaggio verso la scuola dicevano il Rosario , e a loro si univano altri studenti.
…Flavio era il più estroverso; il fervore nella preghiera, lo zelo nell’apostolato, nei contatti personali e nel gruppo, la dedizione nel servizio ad esempio nella S. Vincenzo erano più evidenti. Gedeone era più mite e introverso, ma condivideva, era ugualmente impegnato,
costante, deciso. Tra loro ci fu sempre perfetta armonia. Non ricordo ci sia stato un solo screzio.
..Quella terribile mattina in cui quelli della brigata nera, ossia i fascisti, con il mitra puntato li hanno portati via, a casa c’ero solo io Zita, con la mamma. Flavio l’hanno messo in macchina e non l’ho più visto. Gedeone, dopo cento metri l’hanno lasciato libero per un po’. Io sono andata di corsa a portare loro un poco di pane perché erano senza mangiare. Gedeone aveva in mano un quaderno arrotolato: me lo ha dato e mi ha detto di non leggerlo e: “quando sei a casa brucialo”. Io l’ho aperto, ho capito che era il suo diario, ma ho dovuto fare ciò che m ha detto, e l’ho bruciato.-
Quando ricevemmo dall’allora parroco Mons. G. Fontana la tragica notizia della morte di Flavio e Gedeone, è venuta molta gente a trovarci a casa, tutti cercavano di consolarci dicendo che erano tanto buoni e che sono certamente in Paradiso. Questo lo pensavamo anche noi familiari e questa era ed è l’unica nostra consolazione. Il giorno dopo la triste notizia noi sorelle, e anche il papà, non abbiamo avuto la forza di andare fuori di casa, ma la mamma ci ha detto: “lasciatemi andare in chiesa, alla S. Messa, perché là trovo la forza di andare avanti e me li vedo accanto come quando erano a casa, e Gesù mi dà la forza di vivere..”…è partita da sola ed è andata in chiesa a pregare per alleviare la sua disperazione.
Tra i tanti visitatori, il Generale Cantalupi, che abitava a Verona ed era stato in campo di concentramento con Flavio e Gedeone, ha avuto la fortuna di rientrare a casa. E’ venuto in teatro parrocchiale a Isola della Scala per parlare dei miei fratelli; noi familiari non ci siamo andati perché il dolore era troppo forte, ma poi è venuto a trovarci a casa. Ci ha salutati tutti, commosso, e quando ha visto la mamma le ha detto: “Signora, se mi permette, la bacio, perché lei è la mamma di due santi”.
Testimonianza di Suor Raffaella Mantovanelli, nipote dei Fratelli Corrà:
Nata nel 1943, sono, per così dire, cresciuta all’ombra della tragedia che si è consumata nella mia famiglia, quando ero bambina – anzi, dell’esemplare martirio dei miei due zii materni, Flavio e Gedeone. Ciò ha molto segnato la mia vita; certamente non posso dire di avere dei ricordi in prima persona (anche se a volte mi sembra perfino di averli; avevo un anno e mezzo quel 22 novembre 1944, data del loro arresto, che ha tragicamente segnato il loro destino..) ma tante volte ho avuto l’impressione come di un trauma antico nascosto nei miei ricordi infantili, il ricordo confuso di una violenza che si era abbattuta sulla mia famiglia.
Imparai a rivolgermi a loro in preghiera; non li avevo conosciuti, ma volevo in qualche modo comunicare con loro, li ritenevo dei santi.
Ogni sera dopo il rosario – che si recitava in “tutte e due” le mie famiglie – in quella dei nonni si aggiungeva il De Profundis e un’altra preghiera composta appositamente, nella quale si pregava “a suffragio delle anime di Flavio e Gedeone”. Io per un po’ pregai in quel modo, ma più tardi, dentro di me pensavo: “ormai non dobbiamo più pregare a suffragio, ma attraverso la loro intercessione….e privatamente facevo così.
Quando feci la prima comunione, a 6 anni, sull’immaginetta-ricordo c’era scritto che io la facevo a suffragio delle anime dei miei due zii Flavio e Gedeone.
L’ombra, il ricordo, la memoria dei miei zii mi seguivano ovunque. Quando andai in quinta elementare, si inaugurò in paese, a Salizzole, la nuova scuola elementare e fu dedicata alla memoria dei Fratelli Flavio e Gedeone Corrà. Fu presente zia Noemi all’inaugurazione.
Pur non avendoli conosciuti personalmente, la loro statura mi si andava delineando sempre più chiara e forte attraverso le persone con cui entravo in contatto, che erano state testimoni dell’esempio di vita dei fratelli Corrà.
Iside, la fidanzata di zio Flavio, la conoscevo bene, la incontravo in paese, fuori di chiesa, ci si salutava. Feci un incontro con lei, particolarmente personale, quando avevo circa 19 anni – ero appena maestina – ad Isola della Scala, nel marciapiede davanti alle carceri. Io ero in bicicletta, venivo da Salizzole, lei a piedi in senso opposto. Mi parlò come se fossi stata una persona adulta e mi confidò quanto fosse a volte amara la vita, quanto ci si dovesse preparare ad affrontare con fortezza ogni evenienza. La sua sofferenza era sempre soffusa di tanta dolcezza….
L’altro zio, Gedeone, è stato mio padrino di battesimo. Non l’ho personalmente conosciuto ma la sua funzione di padrino l’ha assai più efficacemente svolta, insieme a Flavio, attraverso la testimonianza della loro vita, segnandomi con il loro sangue oltre che con quello di Cristo.-
RICORDO DI MONS. SENEN CORRA’, fratello di Flavio e Gedeone, vescovo di Chioggia e poi di Pordenone, dal suo libro “Memorie Profumate”:
Prima del 1932 abitavo con la mia famiglia a Salizzole. Un dissesto economico indusse la mia famiglia a trasferirsi a Isola della Scala, al centro del paese, a duecento metri dalla chiesa abaziale. Quello stesso pomeriggio, scaricate le masserizie, i Fratelli Flavio, quindicenne, Gedeone, dodicenne, e io, di non ancora 8 anni, ci recammo in chiesa. Io fui colpito dalla vastità che confrontata con quella di Salizzole, mi parve immensa. Sostammo a lungo in preghiera silenziosa. A nostra insaputa fummo notati e osservati da un sacerdote, il vicario parrocchiale Don Serafino, il quale ci raggiunse, si sedette in alto sulla spalliera di un banco vicino, estrasse dalla tasca il suo taccuino e scrisse il nostro nome. Alla fine invitò me, a un orario dello stesso tardo pomeriggio, alla scuola per imparare a servire la messa, e i miei fratelli all’adunanza dell’Azione Cattolica. Da quel giorno l’Eucaristia divenne per noi un’esperienza quotidiana e l’Azione Cattolica la scuola per un cammino di fede e apostolato. È innegabile l’azione sottile della Provvidenza che tutto dispone e conduce secondo un piano, la cui trama, guardando a ritroso, riusciamo solo parzialmente a intravedere con lo sguardo illuminato dalla Fede”.
Testimonianza di Augusto Tebaldi, compagno di prigionia a Flossenburg di Flavio e Gedeone.
Flavio e Gedeone KZ 43565 e 43566 / 43736
Sono Augusti Tebaldi, uno dei pochissimi superstiti, tornato dal Campo di concentramento dopo la seconda guerra mondiale. Flavio e Gedeone Corrà furono per me dei fratelli nella terribile esperienza del campo di annientamento nazista di Flossenbürg.
Conobbi Flavio Corrà nel 1939 quando, dopo aver superato in Verona la maturità scientifica, ci iscrivemmo entrambi alla facoltà di matematica e fisica presso l’università di Padova.
Il ricordo che ho di Flavio come studente e militare è tale che io ho sempre nutrito per lui una sconfinata ammirazione. Ma ciò che eleva la mia stima a vera e propria devozione e venerazione è il ricordo della condotta che i fratelli Corrà hanno tenuto in prigionia. Lì conobbi anche Gedeone.
In quel regno del terrore eravamo solo numeri e mostravamo veramente la nostra intima natura. Molti che si erano presentati con apparente coraggio, denunciarono in breve una compassionevole disfatta morale. Le più spaventose esperienze non intaccarono invece minimamente il morale di Flavio e Gedeone Corrà.
Il “campo” era dominato dal potere feroce dei militi delle SS tedesche ma il governo interno era esercitato dai famigerati kapò: questi erano, nella stragrande maggioranza, delinquenti comuni, quasi sempre tedeschi, trasferiti dalle case di pena ed assegnati, tre o quattro ogni “blocco”, per garantire lo svolgimento della vita quotidiana. Indossavano la divisa del campo come tutti, ma si distinguevano perché portavano un vistoso triangolo nero, e soprattutto perché avevano sempre in mano e minacciosamente ostentavano, un nodoso manganello.
Quando un kapò ti guardava, sentivi che la morte ti stava spiando. Ci parlavano in tedesco senza preoccuparsi se noi comprendevamo (i prigionieri appartenevano a tutte le nazioni europee occupate dai tedeschi), poi traducevano con il bastone. I loro discorsi si concludevano immancabilmente apostrofandoci con beffardo sorriso: “Siete sterco … passerete tutti per il camino … e proseguivano poi, in un approssimativo italiano, con ripugnanti bestemmie. Durante le minacciose invettive Flavio e Gedeone, come tutti, chinavano la testa, ma quando i guardiani passavano alle bestemmie, alzavano il capo, guardavano quasi con aria di sfida il kapò e muovevano leggermente le labbra; evidentemente rispondevano con giaculatorie. Un giorno che gli ero a fianco ed eravamo in terza fila, sentii Flavio chiaramente far eco alle bestemmie con un sommesso: “Dio sia benedetto … benedetto il Suo santo nome…!”. Passarono attraverso incredibili vicende di patimenti e di morte, umili e rassegnati, con la maturità consapevole e salda dei forti e l’innocenza limpida dei fanciulli e, tra i più spietati orrori, non conobbero l’odio, ma solo l’amore e la solidarietà verso i compagni e il perdono cristiano verso i carnefici.
Quando entrammo nel lager la prima operazione a cui fummo sottoposti fu quella di farci entrare, uno ad uno, in ordine alfabetico, in una baracca per uscire, poi, spogliati di tutto, dalla parte opposta. In quella occasione fu l’ultima volta che udimmo pronunciare il nostro nome perché uscimmo ridotti a numeri: Flavio e Gedeone divennero rispettivamente KZ 43565 e 43566, ed io KZ 43736. Tutti fummo sottoposti ad una minuziosa perquisizione che comprendeva anche l’ispezione della bocca e chi aveva un dente con capsula d’oro subiva l’immediata e violenta asportazione.
Flavio cercava di nascondere nel pugno della mano la Corona del Rosario che aveva sempre gelosamente custodito e con la quale aveva confortato i compagni di sventura durante il terribile trasferimento in treno per quattro giorni stipati nel vagone bestiame senza cibo, senza acqua, senza servizi, accanto ai cadaveri dei compagni crollati durante il viaggio. Fu naturalmente scoperta e Flavio sottoposto ad una raffica di pugni e calci mentre gli veniva strappata la Corona.
Nelle serate successive, nella bolgia della baracca, l’ho visto recitare sommessamente il Rosario sostituendo la corona con il puntare l’indice destro sulle nocche della mano sinistra chiusa a pugno, cercando che altri si unissero a lui.
Un giorno spingevamo un carro carico di cadaveri dalla camera a gas all’ingresso del forno crematorio. Il forno crematorio era situato ad un livello più basso del livello del “campo” e perciò nell’ultimo tratto il percorso era in leggera discesa. A quel punto Flavio allentò la sua spinta e lo vidi armeggiare tra gli zoccoli delle povere vittime. Dopo qualche sera ne compresi la ragione perché, nella semioscurità della baracca, vidi Flavio recitare il Rosario sgranando una rudimentale Corona da lui costruita con i lacci annodati che aveva sfilato dai calzari dei cadaveri trasportati al crematorio: spettacolo drammatico ma, nello stesso tempo, sublime ed esaltante: con gli occhi vedevo uno straccio di uomo con in mano uno straccio di Rosario; con l’anima illuminata dalla Fede vedevo una creatura angelica che parlava direttamente con Dio. Flavio e Gedeone sentivano la presenza di Dio così viva in loro, che parevano trasfigurarsi; erano distaccati dall’ambiente, in certo senso vivevano sopra l’umano serenamente disposti a morire. Così padroni di sé da essere consolatori dei compagni stessi di sventura ai quali erano d’incitamento e di esempio. Li ho sentiti spesso ripetere, in situazioni che non permettevano illusioni: “Beati coloro che soffrono, perché saranno consolati”.
Con il tempo aumentava lo sfinimento fisico dei deportati superstiti, ridotti a pelle e ossa, scheletri viventi, piagati ed infestati di parassiti, (sopravvissuti alle impiccagioni, alle torture, alle bastonature, alla fame, al freddo, alle malattie, al lavoro con temperature polari, alle condizioni igieniche spaventose, situazioni tutte che avevano già cagionato, nel “campo”, la morte di decine di migliaia di deportati) mentre si riduceva sempre più la già misera razione di viveri inqualificabili, che ci veniva fornita.
La fame, fino ad un certo punto, era un tormento dello stomaco, dopo diventava un’ossessione della mente.
Di notte molti nel sonno masticavano, quasi tutti sognavano di mangiare.
Quando ci veniva distribuita la nostra razione di brodaglia di acqua ed erba ed una fetta di pane nero con ingredienti indecifrabili, alcuni l’affrontavano divorandola come animali affamati, altri conservavano gelosamente il pane e lo assaggiavano lentamente, una briciola alla volta, per far durare il pasto più a lungo. Accadeva talora che qualcuno dei primi cercasse di appropriarsi della porzione degli altri e, in qualche caso, ciò provocava risse furibonde. Una volta sono stato spettatore addolorato di uno scontro feroce. Flavio e Gedeone erano vicini a me e, come me, angosciati testimoni. Si guardarono un momento, poi Flavio fece alcuni passi avanti, offrì la sua fetta di pane al compagno derubato e lo scontro si placò. Tornò verso di noi; Gedeone aveva diviso in due pezzi la sua già misera razione, trattenne metà per sé e consegnò l’altra metà al fratello Flavio.
Li ho sentiti spesso tentare di convincere uomini disperati che la vita terrena è un mezzo, non il fine, ed insegnare loro perché si vive, perché si muore.
Quando finalmente sul sangue degli innocenti versato a fiumi e sulle città distrutte si innalzò il sole della pace e da quella terra durissima impastata di lacrime, cenere e sangue, ho potuto scorgere, oltre i reticolati, un cielo nuovo d’amore e di speranza, i nomi di Flavio e Gedeone tornarono tra i primi nella mia mente annebbiata e nel mio animo sconvolto, perché avrebbero ben meritato di vivere quel giorno. Ma le loro anime erano già salite nel grigio cielo di Flossenbürg come fiammelle per unirsi al gran fuoco di Dio, donde erano discese.
Dopo qualche giorno dalla liberazione vedevo colonne di tedeschi marciare prigionieri dei russi. Quegli uomini erano stati i miei odiati aguzzini ed era facile immaginare il destino a cui andavano incontro, ma il ricordo di Flavio e Gedeone mi suggerì di pregare Dio per la loro liberazione, perché potessero tornare alle loro famiglie, affinché non vi fossero più reticolati nel mondo.
Augusto Tebaldi
TESTIMONIANZA DELL’AVVOCATO FABIO SPAZIANI (1926-1997) fondatore e primo presidente dell’associazione “Amici dei Fratelli Corrà”, promotore dell’avvio della causa di beatificazione, figlio di Gracco Spaziani, deceduto a Mauthausen nel. 1945.
Fabio condivise con loro l’arresto e la detenzione per dieci giorni, a Verona, nel novembre 1944.
“La fulgida pagina di storia che i fratelli martiri Flavio e Gedeone Corrà hanno scritto nella loro breve vita, non poteva avere una conclusione diversa. Esempio sublime di dedizione completa a quella Verità totale che avevano trovato nel cristianesimo. Noi e la comunità già li consideriamo santi e martiri per la Libertà e per la Fede. Il loro ricordo fulgido è perennemente nel nostro cuore e fa parte integrante della nostra esistenza”.